Cognizione nei disturbi autistici e
serotonina della madre
GIOVANNA REZZONI
NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 10
novembre 2018.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
L’impegno della nostra società scientifica, fin
dalla sua fondazione, a trasmettere alla didattica universitaria, spesso ancora
legata ad improbabili teorie psicologiche delle cause, le acquisizioni
neuroscientifiche sulle sindromi dello spettro
dell’autismo (ASD) quali disturbi
pervasivi dello sviluppo, è nota. Inoltre, alcuni di noi, già da qualche
decennio, hanno rilevato e sostenuto l’eterogeneità causale all’origine della
sintomatologia di deficit
nell’interazione sociale e nella
comunicazione, restrizione degli
interessi, comportamenti ripetitivi,
stereotipie di moto e resistenza al cambiamento. Anche se da
molto tempo è noto che nella sindrome dell’X fragile, nella sclerosi tuberosa,
in anomalie cromosomiche, errori del metabolismo, paralisi cerebrali, anomalie
congenite multiple, e perfino in casi di sordità[1], si può
avere una completa espressione clinica di ASD secondo i criteri diagnostici di
riferimento (ICD, DSM), molti clinici hanno a lungo implicitamente considerata
omogenea l’origine delle forme idiopatiche[2], ossia
quelle in cui non era possibile riconoscere una delle cause elencate.
Il nostro presidente ha da sempre sostenuto la
tesi secondo cui la diagnosi di sindrome autistica non corrisponde ad una
singola entità nosografica, ma rappresenta l’esito comune di cause eziologiche
diverse. Si è dovuto attendere il 2007 per una dichiarazione autorevole che
traduce in atteggiamento clinico quanto lo studio scientifico aveva suggerito
da tempo: “Se l’autismo non è una singola entità ma un insieme di fenotipi
simili, risultanti dall’azione combinata di molti alleli di rischio, sembra
logico che un approccio che scomponga la presentazione clinica in componenti
biologicamente rilevanti possa essere più efficace di un approccio che si basi
su categorie diagnostiche”[3]. L’anno
prima, Happé e colleghi, in una rassegna che poneva a
confronto le ragioni dei criteri dimensionale e categoriale nella diagnosi,
affermavano che gli approcci genetico e comportamentale che considerano
l’autismo come un’entità o un fenomeno unitario possono essere inefficienti e
controproducenti[4].
L’eterogeneità causale non solo deve indurre a
moltiplicare gli sforzi della ricerca, ma deve anche suggerire ai clinici la
necessità di conoscere e studiare costantemente il singolo caso per poter
definire ed adattare al meglio le tecniche di intervento terapeutico.
Una parte considerevole degli studi neurochimici
sull’autismo si è concentrata sul sistema di neurotrasmissione della serotonina (5-HT, 5-idrossitriptamina) e
studi recenti hanno rilevato che in oltre un quarto dei bambini autistici il
tasso ematico della serotonina è significativamente più elevato di quello dei
coetanei non affetti. Poiché è stato dimostrato che il sistema serotoninergico
materno può influenzare lo sviluppo cerebrale dell’embrione, Montgomery e
colleghi hanno deciso di valutare i livelli di 5-HT del sangue della madre in
rapporto al fenotipo dei disturbi dello spettro dell’autismo, ottenendo
risultati rilevanti.
(Montgomery A. K. et al. Maternal Serotonin Levels Are Associated with
Cognitive Ability and Core Symptoms in Autism Spectrum Disorder. Journal
of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry 57 (11): 867-875,
2018).
La provenienza degli autori è prevalentemente la seguente: Columbia University Medical Center, New York and
the New York State Psychiatric Institute, New York, NY (USA); Center for Autism
and the Developing Brain, New York-Presbyterian Hospital, White Plains, NY
(USA); Sackler Institute for Developmental Psychobiology, Columbia University
Medical Center, New York, NY (USA); Institute of Juvenile Research at the
University of Illinois at Chicago, IL (USA); Child Study Center, Yale
University, New Haven, CT (USA); Kansas Center for Autism Research and
Training, Overland Park, Kansas (USA); Vanderbilt University Medical Center,
Nashville, TN (USA).
Il razionale per lo studio della 5-HT nell’autismo
ha basi teoretiche ed empiriche. L’influenza critica della serotonina sulla
neurogenesi, sulla sinaptogenesi e l’ontogenesi estesa del sistema
serotoninergico centrale suggerisce un possibile ruolo della indolalchilamina
nell’eziologia e nella fisiopatologia dell’autismo. L’interesse per l’amina
biogena nelle funzioni neuroevolutive è stato accresciuto dall’identificazione
di una specifica funzione nell’embriogenesi.
Le evidenze empiriche di una partecipazione della
5-HT ai processi legati al fenotipo autistico includono l’iperserotoninemia
piastrinica dell’autismo, gli effetti terapeutici ottenuti con agenti
serotoninergici, anomalia dell’espressione o della funzione dei recettori 5-HT2,
e l’associazione dei disturbi dello spettro dell’autismo con geni della 5-HT.
Gli studi più interessanti sono venuti dal filone che indaga
l’iperserotoninemia piastrinica.
I dati farmacologici sono abbondanti, ma talvolta
di non facile interpretazione e, spesso, fra loro incoerenti. Molti ricercatori
hanno misurato i livelli di 5-HIAA, il metabolita primario della 5-HT, nel
fluido cerebro-spinale (CSF), nel tentativo di valutare la sintesi centrale dell’amina
biogena. All’inizio degli anni Novanta, la maggior parte degli studi non ha
evidenziato differenze significative. Uno studio PET, condotto con il ligando
11C-α-metiltriptofano (Chugani et al., 1999)[5], aveva
rilevato alterazioni nella sintesi corticale del neurotrasmettitore, ma altri
hanno avanzato critiche fondate alla metodologia impiegata (Shoaf et al., 2000)[6].
Gli alti livelli di serotonina nel sangue degli
affetti da autismo sono stati rilevati per la prima volta nel 1961. Gli studi
di follow-up hanno in genere
documentato incrementi medi del 25-50% nell’autismo rispetto al gruppo di
controllo. Tipicamente, più del 25% dei bambini affetti da disturbi dello spettro
dell’autismo presenta elevati livelli di serotonina nel sangue[7]. Studi
recenti hanno dimostrato che il WB5-HT (whole
blood 5-HT level) è un biomarker
stabile ed ereditabile. L’influenza del sistema della 5-HT della madre sui
processi neuroevolutivi del feto, ha suggerito a Montgomery e colleghi l’esame
del WB5-HT materno in relazione al fenotipo dei disturbi dello spettro
dell’autismo.
Il campione era costituito da 181 persone
diagnosticate di disturbo dello spettro dell’autismo (ASD, autism spectrum disorder) di età compresa tra i 3 e i 27 anni, 119
delle loro madri e 99 dei loro padri. Per la valutazione del profilo cognitivo,
comportamentale e del linguaggio sono stati impiegati strumenti standardizzati.
In tutti i partecipanti sono stati misurati i livelli di 5-HT del sangue
intero.
Le analisi della regressione hanno individuato
rapporti tra il WB5-HT materno e il quoziente intellettivo non verbale (NVIQ),
l’ADI-R (Autism Diagnostic
Inteview-Revised) per i punteggi del Nonverbal
Communication Algorithm, e la funzione di adattamento complessiva secondo
le Vineland Adaptive Behavior Scales-II.
L’analisi di classe latente ha identificato una struttura a tre classi nella
valutazione dei dati, descrivendo bambini con basso, intermedio e alto livello
di gravità, attraverso le misure comportamentali, cognitive e di adattamento.
Il WB5-HT materno medio differiva tra le classi,
con i livelli più bassi rilevati nel gruppo di figli con la sintomatologia più
grave. Il WB5-HT dei padri non differiva tra le classi di gravità dei figli che,
fra loro, ugualmente, non presentavano differenze legate alla gravità della
sintomatologia.
I dati emersi documentano una significativa
associazione tra WB5-HT materno ed esito neuroevolutivo dei figli affetti da
disturbi dello spettro dell’autismo. Tale acquisizione suggerisce la
realizzazione di studi prospettici longitudinali, per cercare di comprendere il
rapporto funzionale tra la serotonina materna e il disturbo pervasivo dello
sviluppo cerebrale del feto, e studi in modelli animali per comprendere i
meccanismi molecolari alla base di tale rapporto.
L’autrice della nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni
di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanna Rezzoni
BM&L-10
novembre
2018
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fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Si tenga conto che, nel sospetto
di sindrome dello spettro dell’autismo per mancanza di risposta del bambino ai
richiami vocali, il rilievo di deficit uditivo orienta la diagnosi verso una
causa sensoriale del difetto di interazione.
[2] Attualmente i casi a etiologia
non determinata costituiscono la maggioranza.
[3]
Gupta A. R. & State M. W., Recent advances in genetics of autism. Biological Psychiatry
61, 429-437, 2007 (traduzione dell’autrice del testo). L’articolo è citato
anche da George M. Anderson in Neurochemistry of Autism, Basic Neurochemistry (Brady, Siegel,
Albers, Price), p. 1013, Elsevier 2012.
[4]
George M. Anderson, op. cit. ibidem.
[5]
George M. Anderson, op. cit., p. 1015.
[6]
George M. Anderson, op. cit., p. 1015.
[7] George M. Anderson, op. cit., p. 1016. Per una sintesi dei risultati
degli studi su questo argomento si veda alle pagine 1015-1016.